Tra il non-ancora e il non-più
Foto: Federico Casella Testi: Pietro TirelliQuello che in tutto il resto del mondo sarebbe fatto di cemento, in Versilia è differente. Chi skatea da quelle parti ha il privilegio di poter cruisare cittadine interamente fatte di splendido marmo bianco, dove dai flat, ai curb, alle panchine tutto è fatto della roccia che più di tutte si presta allo skateboarding. E questo ci è sembrato un motivo sufficiente per tirare assieme due macchinate di amici e metterci alla ricerca di tutto il marmo che potevamo skateare, partendo dalle cave sulle Apuane e scendendo verso gli spot in street a Pietrasanta, Massa e Carrara. Guidando per le montagne, cercando dalla macchina un blocco che potesse funzionare, a volte dovendo inventare lo spot, abbiamo visto e skateato in luoghi che ci hanno lasciato un ricordo indelebile e che Pepe proverà a spiegarvi nelle prossime pagine. E poi, quante cose possono succedere in soli sei giorni di tour? A quanto pare parecchie, se la crew è quella giusta e la fotta di skateare è tanta. Il video è su fotta.it, vedere per credere.
Quando uno spazio è in continua trasformazione presenta a chi lo vive un’infinità di occasioni, di momenti irripetibili. Chi ha la prontezza e il potere di rispondere a questa “sorpresa” con creatività dà così un significato all’occasione, anziché limitarla ad una circostanza muta, sterile. Tutto questo è dovuto ad una pura casualità, anzi, in questo caso, ad una doppia casualità. La prima ovviamente è il nostro minimo comune denominatore: l’andare a skateare. Tutti sappiamo, anche i più organizzati, che è un’azione che racchiude fin troppe possibilità ben al di là del nostro controllo, completamente esterne a noi. Personalmente, il come mi sveglio la mattina è una di queste. E poi c’è il trovarsi assieme, persone diverse che si sono svegliate in modo diverso. E poi ancora c’è il decidere e il muoversi verso il luogo da skateare. Lo spot. Un luogo tutt’altro che privato. Un luogo sociale, fatto di persone, spesso ostili alla tua spinta creativa.
E poi c’è la materialità del luogo stesso. Il “come” e il “di-che-cosa” è fatto. Per quanto qualcuno possa avere un’idea o un desiderio non si renderà conto dell’effettiva realizzabilità di questa finché non si troverà fisicamente in quel luogo in quel momento, e che, dopo che ci si sarà trovato, il suo cervello, cuore e gambe risponderanno, o meno, a queste casualità. In pratica, nessuno può prevedere con certezza se domani farà il trick che ha sognato stanotte, le variabili sono troppe. Questa così è la prima casualità, forse la più “spirituale”, la più personale.
La seconda casualità, in questo caso forse ancora più profonda e più complessa, riguarda lo spazio e la materia, intese come spazio fisico e superficie fisica: la montagna e il marmo.
La cava di per sé è il risultato di un processo completamente innaturale, tuttavia non insensibile all’azione della natura stessa. Storicamente le cave nascono e continuano ad esistere per il “bisogno” umano di prelevare grosse quantità di marmo dalla montagna, per poi impiegare questo materiale a scopi artistici e architettonici. Se da un lato ciò ha permesso la realizzazione di non poche opere e l’espressione di non pochi artisti, dal valore storico e culturale oserei dire leggendario, così l’avidità nello scavare ha irrimediabilmente modificato l’aspetto e la stabilità stessa del paesaggio.
Le cave arrivano così a noi come una bellezza scomoda da accettare. Una grossa questione di soldi, un business che coinvolge molte persone e famiglie, e che ha evidentemente intaccato il territorio sul piano ecologico, esattamente come la deforestazione.
Quando vi ci siamo trovati in mezzo, comunque, la bellezza di quei luoghi, pericolosa ed instabile, era fortemente chiara e imponente. Le vene e le interiora della montagna si sono aperte a noi in una circostanza che, nel momento stesso in cui io ora scrivo, è già cambiata e sta cambiando, dandoci così la possibilità di creare qualcosa di probabilmente irripetibile. E come gli stessi marmi, deportati giù dalla montagna, siamo scesi anche noi, a cercare i vecchi figli della cava, che ora modellati dall’uomo hanno un altro aspetto e un’altra forma, ma sanno ancora del ventre della loro madre. Questa è la nostra risposta alle “sorprese” incontrate sul percorso a metà tra la materia plasmata e la sua fonte, tra il non-ancora e il non-più.
Pietro scrive e cura le illustrazioni di Fotta. Lo fa quando non è a Parigi a frequentare il jet set, in tour a fare il pro skater, o in generale a fare la rockstar. Dietro ai tatuaggi nasconde un animo gentile, che colleziona macchinine e pedali per la chitarra.