Storia di una pietra (e di altri sassi, massi e ciottoli)
Foto: Ramon Zuliani Testi: Guerrilla SpamRaccogliere una pietra e portarsela via. È un'azione che facciamo spesso in modo spontaneo, senza una vera necessità, senza la motivazione del collezionista o l'istinto del cleptomane. È un'azione che facciamo in modo semplice per il piacere di farlo.
Nei luoghi più remoti del mondo o nelle vie sotto casa ho trovato sassi, pietre e pietruzze che mi hanno incuriosito, attratto, e che sono finite nelle mie tasche. Un sassolino vulcanico di Santorini, una pietra scalfita da proiettili di Sarajevo, un sanpietrino di Roma, una roccia ossidiana da una cava neolitica, un pezzo di una mattonella di Valdo Fusi a Torino. E infatti non sono il primo ad aver trovato una pietra e ad averla trasportata da qualche altra parte. Da sempre l'uomo ha l'istinto di raccogliere pietre, spostarle, posizionarle, lanciarle, impilarle. Alcune volte con un significato, altre solo per gioco. I nativi americani componevano cerchi di sassi per finalità curative, in Sardegna o in Britannia anelli di megaliti venivano eretti scegliendo e posizionando grossi massi, stessa cosa che negli anni Sessanta iniziarono a fare alcuni scultori chiamando tutto ciò Earth Works o Land Art, Richard Long in testa. C'è chi dice che la disciplina dell'architettura sia nata nel momento in cui delle pietre sono state prese, spostate e posizionate da orizzontali a verticali (vedi: Francesco Careri, Walkscapes, “Camminare come pratica estetica”, Einaudi, 2022) o chi continua ancora oggi ad utilizzare la pratica preistorica dei “cairn”, montagnette piramidali di sassi accumulati, per indicare i sentieri di montagna.
Gli obelischi, che sono grosse pietre incise, sono stati presi e spostati qui e là in tutto il mondo per i fini più disparati: molti giacciono sul fondo del Mediterraneo, affondati con le navi che li trasportavano, altri restano ben distanti dalle loro terre originarie posizionati come trofei coloniali in monumenti e fontane europee, alcuni sono tornati a casa come l'obelisco di Axum restituito all'Etiopia dal governo italiano solo nel 2018 (doveva tornarci già nel 1947).
Ci sono pietre che compiono viaggi autonomi senza interferenze, come i meteoriti, o altre che si sono spostate, si dice, sospinte da angeli (le pietre della Casa di Maria trasportate “in volo” dalla Palestina a Loreto).
Un viaggio certo e documentato da racconti e foto è quello che ha compiuto nel 1999 una pietra norvegese di diciassette tonnellate dalla località di Tafjord al Lido di Venezia. Lo ha reso possibile Marianne Heske, artista abituata a spostare cose di qua e di là (nella sua carriera ha spostato capanne, case, teste di bambole dai loro luoghi originari a nuove dimore, alcune volte con viaggi inversi di ritorno a casa).
Questa pietra è un'opera d'arte ma ha attraversato confini nazionali senza imballaggio, dogane o assicurazioni, proprio come fa una pietra, non come un'opera d'arte. L'artista ha compiuto un'azione inversa rispetto a quella di raccogliere una pietruzza da un luogo lontano per portarsela a casa: ha scelto un masso antico di quattromila anni dal suo villaggio natale e lo ha trasportato in una terra straniera. Un gesto impegnato e impegnativo.
Anche Olafur Eliasson nel 2015 ha spostato grandi massi, in questo caso di ghiaccio, dalla Groenlandia a Parigi con la finalità di farli sciogliere davanti ai nostri occhi per sensibilizzarci sui cambiamenti climatici. Azione più scenografica ma certo meno intima del gesto della Heske che, sradicando un pezzo della sua terra, più che fare un atto dimostrativo intende farci un dono.
La Heske nel 2010 ha detto che la pietra “...ora riposa nel Piazzale del Casinò. Gioca il suo ruolo silenzioso, di fianco al tappeto rosso dei Leoni D’oro. È ancora una pietra viva. E la storia continua.”
La storia continua e la pietra ha giocato il suo ruolo senza parole anche quando Pingu, aka John Delos Angeles, l’ha droppata nella foto che vedete nella pagina a fianco. Un gesto che ha considerato quella pietra come una pietra, e non come un'opera d'arte, riportandola al suo significato semplice e quotidiano che poi è il più autentico che possiede.
Foto della performance per gentile concessione dell’artista, 1999.
Guerrilla Spam nasce nel 2010 a Firenze come azione non autorizzata di affissione negli spazi urbani. Oggi alterna tale pratica a interventi di muralismo, installazioni, azioni e workshop in Italia e all’estero.